Marmo digitale: dal Discobolo al calciatore

Parte 2: come divenire marmo

A proposito di Coup de tête di Adel Abdessemed si è fatto riferimento all’Ercole e Anteo, celebre bronzo del Pollaiolo. Il parallelismo “rovesciato” ci sembra tuttavia improprio. Considerando gli aspetti stilistici e quelli iconografici sembrerebbe più logico e conseguente identificare Zinedine Zidane con Ercole. Quest’analisi avrebbe il valore d’illuminare la metamorfosi della sconfitta farsesca in vittoria colossale, il passaggio dall’insubordinazione del gioco e della strategia, all’autorità dello spettacolo, rappresentando il trionfo dell’uomo sull’oltraggio, del risentimento nazionalistico, territoriale, sulla sfida impossibile di una “natura” mediatizzata. E, ancora una volta il rapporto dialettico tra Heimat e pagus, l’intreccio enigmatico di forze sublimate. Il calciatore Marco Materazzi starebbe allora ad Anteo come Zinedine Zidane ad Ercole – mentre un’esplosione, uno scoppio di grida accompagna l’intreccio dell’aura mitologica e del gossip volgare -. L’umanesimo del XXI secolo è quello di Zidane: il suo dinamismo, la sua forza virtuosa, il suo stipendio. Materazzi rappresenterebbe allora il negativo, le forze telluriche. L’interpretazione è confermata se si pensa all’altro riferimento visivo: La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre del Masaccio. Ancora una volta, l’antitesi è donna, ingannatrice, tragica, teatrale: Eva (si veda l’espressione del volto di Materazzi) rappresenta il lamento e la provocazione; mentre Adamo, il fallo della ragione, il maschile. In lui riconosciamo l’uomo, l’umano.

La cacciata, l’espulsione, l’uscita è anche un’entrata. Un lancio. Il paradiso mediatico è terreno, campo di forze e di gioco, vi si entra e vi si esce con la stessa intensità, con la stessa gloria. Quest’al di qua ideale, quest’ulteriorità immanente, non conosce le distinzioni manichee tra bene e male, tra paradiso e inferno. Volendo individuare un dualismo si parlerà piuttosto dell’eterno ritorno di quei principi creatori cari ai greci presocratici: la trasfigurazione apollinea nell’idolatria imperscrutabile del volto titanico e l’irrazionalità pop della maschera, con le ombre che solcano la bocca spalancata e gli occhi contratti per il pianto.

Una rappresentazione ipervisibile di una scena assoluta, primaria. Una lotta – in questo caso calcistica – che trasforma lo sport in tragedia, l’atleta in attore, lo stadio in anfiteatro e gli hooligans in un coro di satiri barbuti.